Vorrei abbracciarti. Dirti solo che ti voglio bene come nient’altro nella mia vita. Sapresti quanto mi manchi.
Cerco ogni notte di sognarti, purtroppo succede raramente.
Ricordo però ancora benissimo il tuo volto. Come faccio a dimenticarti Superman?
Mi viene in mente il mio primo contratto da professionista. C’era scritto il mio nome sul tesserino: “Vangelis Moras”.
Avevo poco più di 18 anni e stavi lì accanto a me. Era più o meno se entrambi ci iscrivessimo all’AEL, la nostra squadra del cuore sin da piccoli. Da quando eravamo bambini tifavamo AEL e l’amiamo ancora.
Stavi lì accanto a me Takis, anche nel momento più saliente della mia carriera. In Sud Africa, ai mondiali. La coppa del mondo cavolo, la scena calcistica più grande che esista. Pure lì insieme.
Sono sempre stato il vivace della famiglia. La piccola canaglia, quello che rompeva le scatole.
Dall’età di tre anni abbiamo frequentato insieme una palestra per conoscere un’arte marziale, praticare un altro sport oltre al calcio. Abbiamo cominciato di fare taekwondo ed eravamo bravi. Parecchio bravi oserei dire.
Per dieci anni siamo stati i più bravi della classe ma le finali non volevamo giocarcele mai. Non c’era bisogno di confrontarsi, sapevo dall’inizio il risultato. Mi avresti battuto, tu saresti classificato primo ed io secondo.
Anche se ad un certo punto avevo raggiunto il punto di essermi considerato il terzo migliore in tutta la Grecia. Ammetto che lui era migliore di me.
Dall’altro a me m’aveva conquistato il calcio. Sin dall’inizio il calcio è stato la mia priorità, quello che mi faceva sentir felice.
Giocavo a calcio dall’età di 5 anni nella nostra squadretta di quartiere, in Ambelòkipi. Ovviamente c’era anche lui, abbiamo attraversato anche quel percorso insieme. Abbiamo fatto tutti i passaggi, dai cadetti agli juniores, insomma tutte le giovanili. Il livello era amatoriale ma la squadra fu ben organizzata.
Il calcio ci ha insegnato dei sani principi, ci ha fatto capire il significato di far parte di un gruppo. Siamo stati ben istruiti, abbiamo capito come funzionano tante cose non solo in campo ma anche fuori, nella vita.
Il quartiere non era facile all’epoca, era abbastanza pericoloso. La quotidianità non era normale e chi c’ ha vissuto in zona sa cosa intendo.
I nostri genitori però erano sempre presenti. Ci hanno insegnato tante belle cose. Il rispetto, la disciplina, l’essere moralmente retti. Purtroppo, non era possibile per loro insegnarci del tutto.
Vi devo confessare una cosa. Prima della malattia e della morte di mio fratello ero come la maggior parte della gente, come tutti quelli che non hanno vissuto una situazione del genere e fanno finta di capire.
Non ne sapevo nulla, non mi importava perché non me lo sarei mai aspettato.
Questo tipo di informazione è assente nella nostra società, nelle nostre scuole, è un argomento che non si tocca in famiglia. Affinché non accade.
Per questo motivo è diventato lo scopo della mia vita far passare l’informazione. E per lo stesso motivo ho creato la ONG “Save M.O.R.A.S.”.
È stata un’idea di mio fratello. Voleva creare una sorta di campanello d’allarme appena tornassimo dall’Australia per tutte le persone che si trovassero in una situazione dell’genere. Non ce l’ha fatta.
In extremis ho deciso io di impegnarmi e realizzare la sua visione. Non l’ho fatto solo per Takis, l’ho fatto per tutti.
Sei mesi dopo, la risposta è stata enorme. Soltanto nella zona di Larissa ci sono offerti più di 2500 donatori di midollo osseo. Ed avevamo trovato addirittura 6 donatori compatibili.
Dico sempre che senza il calcio, senza il mio lavoro non ce l’avrei mai fatta. Non voglio nascondermi e riconosco che la notorietà mi ha aiutato tantissimo, è uno dei tanti doni che mi ha offerto il calcio.
Molti dei colleghi, sia greci che stranieri volevano scoprire cosa facciamo, di che si tratta, come potevano aiutarci. Ed è esattamente la reazione che volevamo provocare. La gente deve chiedere, deve informarsi, deve sapere.
Mi ricordo ancora la sensazione dell’vuoto appena sentite le cattive notizie. La leucemia stava attacando fortemente. Noi non sapevamo cosa fare, come reagire, come dare questa battaglia.
L’ unico a saper reagire è stato Takis.
Sapete, ero l’unico in famiglia a chiamarlo così. Per tutti era Dimitris ma per me sin da bimbi era Takis. Il mio Takis. Mio fratello, il Superman.
E sapete perché gli avevo prestato il soprannome del supereroe?
Quando eravamo in Australia, degli amici c’ avevano mandato due magliette con l’emblema di Superman. Li indossammo ed è subito diventato il marchio di fabbrica della battaglia che diede.
Da quel momento in poi, era sempre Superman. Il mio Superman.
Aveva preso in mano la direzione di tutta l’operazione con una determinazione lodevole. Qualunque cosa volesse, era quasi come un ordine per noi. Sentivamo tutto insieme a lui.
È stato molto doloroso. Non voglio raccontare bugie.
Ho perso mio fratello. Non riesco ancora a crederlo, non posso metabolizzare questa realtà. Lo sapevo dentro di me che sarebbe successo, ma -credetemi- niente al mondo può prepararti ad una cosa del genere. Non vuoi accettarlo.
Nella mente e nel cuore rimane sempre un timbro con un immenso “perché”. Magari c’è gente che possa accettarlo, forse alcuni possono anche superarlo. Non lo so, magari col tempo.
Non è che non stia bene. Sono fortunato ed ho persone forti che mi vogliono bene accanto a me.
E poi c’è il gol che ho segnato con la maglia dell’AEL. Lo stavo cercando dal giorno in cui ho perso mio fratello quel gol. Volevo segnare solo per lui. E ce l’ho fatta.
È stato così intenso, così bello, che il mio primo gol nel campionato ellenico l’ho segnato con la maglia della squadra che abbiamo amato da piccoli. Era come un segno.
Da quando è successo il fatale, volevo fare anche qualcosa per onorare la sua memoria. Tenerlo vivo su di me.
Ho scelto un tatuaggio. Forse perché inconsciamente volevo provare anche un po’ di dolore.
La storia è un po’ strana. Me l’ha fatto un islandese che qualche tempo fa ne aveva fatto un altro tatuaggio ad un mio ex compagno di Hellas Verona che aveva perso il padre. Ad Emil Alferson
Avevo visto il risultato del tatuaggio di Emil, così ho deciso di fidarmi di quel artista islandese. Ho preso la foto che volevo in mano e sono andato da lui.
Non me ne sono pentito.
Vi racconto tutte queste esperienze perché cerco solo di aiutare nel mio piccolo quelli che attraversano situazioni simili. Lo dovreste sapere che il lutto è lo stesso per tutti. Ognuno lo si vive diversamente ma la sensazione dell’vuoto è uguale per tutti.
Certo che alcune persone ne soffrono di più, altre meno, ma le dinamiche mentali sono le stesse.
Mi chiamano tante persone che hanno perso una persona cara, mi chiedono come sono riuscito a superare quel vuoto. Le persone care vengono ricordate sorridenti, felici, dobbiamo scegliere i momenti più belli.
Mi manca mio fratello. Non in ogni momento perché mi ero abituato a stare lontano da lui causa lavoro. Forse è stato il calcio che mi abbia aiutato ad affrontare la sofferenza psichica e mi ha condotto a conviverci con l’idea.
Mi manca però. E mi mancherà per sempre.Vangelis Moras è un calciatore greco.
Traduzione Editoriale: Zastro
TESTO GRECO: Mihael Gkioulenoglou